Verde que te quiero verde
di Antonella Strano
Sede di Lago Agrio
Il verde è sempre stato il mio colore preferito. Vedere l’Amazzonia un desiderio. Viverci un sogno.
Per questa ragione ho scelto come sede in cui svolgere il mio Servizio Civile Lago Agrio, in questa regione che ho poi scoperto chiamarsi “Oriente”, – quanto di più lontano richiama a noi occidentali questa parola – e in una provincia con un nome così rassegnato che è Sucumbíos. Non suona molto bene, vero? Ma forse rispecchia il destino toccato a questa zona che ha anche un altro nome ufficiale: Cuna Petrolera del Ecuador (Culla petrolifera dell’Ecuador). Il petrolio costituisce la più grande fonte di ricchezza del paese, il pilastro dell’economia ecuadoriana. A Nueva Loja, viveva già qualcuno, ma solo qualche casa e niente più. Una zona rurale. A metà del XX secolo si scopre la presenza dell’oro nero nel territorio. La Texaco, azienda gringa (statunitense), inizia le perforazioni nel 1964 e in quel momento inizia una grande migrazione da Loja, città nel sud del paese, a causa di una siccità. In quella zona inizia ad esserci lavoro nel campo del petrolio. Da qui il nome. Ma nessuno, o pochi, la chiamano così. Tutti la chiamano Lago Agrio. Altro nome poco felice. A quanto pare il nome viene dato appunto dagli operai dell’azienda Texaco dal nome della cittadina texana Sour Lake, sede originaria dell’azienda. Sulle guide si trova una versione più curiosa e interessante agli occhi di una guida turistica e linguista. Un caso di cattiva interpretazione da Source Lake – il Lago della Sorgente – a Sour Lake tradotto in Lago Agrio. Yo me quedo con esta versión. Tutto in questa zona ruota attorno al petrolio ma dentro Lago te lo dimentichi. Dentro Lago puoi quasi dimenticare di vivere nel polmone del pianeta terra. Te lo ricordi durante le almeno 4h30 di strada tra Quito e Lago. Il percorso si fa in compagnia dei serpenti dell’Amazzonia, i condotti del petrolio che costeggiano la carreggiata. Non ti abbandonano neanche per un attimo. Sono però sovrastati dalla potenza della natura. Un verde lussureggiante. Il verde che sogni. Quello che ti emoziona. Ma quando entri a Lago è un altro mondo. Nel bel mezzo del polmone c’è una città che immagineresti tranquilla. Con le case in legno e le strade sterrate. Sbagliato. Le strade ci sono, eccome. E anche quella per arrivarci è una grande opera realizzata grazie – o a causa- del trasporto del petrolio. Chi la reputa una brutta strada non ha mai percorso la Palermo-Agrigento. Lago non è il centro agricolo che mi aspettavo sperduto in Amazzonia. È un centro commerciale naturale. Caos, traffico, negozi di ogni tipo, venditori ambulanti e motorini su cui il numero di passeggeri varia da 1 a 4+1bombola del gas. Le montagne amazzoniche della provincia di Napo lasciano il posto alla pianura. L’altitudine della Sierra è un ricordo lontano. Dalla terrazza della nostra casa si vede solo cemento. Dov’è l’Amazzonia? Bisogna uscire, prendere la Via Quito e andare in cerca di fiumi, di canoe, delle comunità delle sei nazionalità indigene che sopravvivono nella regione. Dalla nostra terrazza, l’Amazzonia la si sente nei continui uccelli per noi nuovi dai colori sgargianti che ci passano sopra la testa mentre noi compagni ci dondoliamo gentilmente a turno sull’amaca. La si vede nelle specie degli alberi attorno a casa. Non sono ulivi, non sono aranci, né limoni, né nespoli. Neanche mandorli. Sono… non so ancora come si chiamano quei due tra i quali si nasconde il sole dopo le 18:20. Fino ad ora ho imparato il nome di un solo albero amazzonico dalle foglie enormi che tanto mi piace, il guarumo. Mi godo il piacere del non sapere, della voglia di scoperta che quest’inizio rappresenta. Intanto mi godo quel tramonto e quegli alberi che mi fanno ricordare che sono nella Selva. Sono nella verde Amazzonia, dove voglio essere.