L'identità plurinazionale della Bolivia di Evo Morales

di Dario Cossu

Il 2019 è l’anno internazionale delle lingue indigene, patrimonio inestimabile dell’umanità, da proteggere come espressione originaria delle circa 5000 comunità indigene che tutt’ora popolano il pianeta, salvaguardando saperi ancestrali e modelli altri di civiltà. Di queste, ben 34 sono ufficialmente riconosciute dal Governo dello Stato Plurinazionale della Bolivia, che con la proclamazione del primo presidente indigeno, Evo Morales Ayma, e con la nuova costituzione del 2009, non solo riconosce, promuove e tutela le popolazioni indigene ed originarie come parte integrante della cultura, ma, allo stesso tempo, incorpora le loro idee e stili di vita all’interno della costituzione stessa dello Stato.

En tiempos inmemoriales se erigieron montañas, se desplazaron ríos, se formaron lagos. Nuestra amazonia, nuestro chaco, nuestro altiplano y nuestros llanos y valles se cubrieron de verdores y flores. Poblamos esta sagrada Madre Tierra con rostros diferentes, y comprendimos desde entonces la pluralidad vigente de todas las cosas y nuestra diversidad como seres y culturas.” (Preambolo della Costituzione boliviana del 2009)

Secondo l’Instituto Nacional de Estadística (2001), circa il 50% della popolazione boliviana appartiene ad un’etnia indigena, con una prevalenza quechua (30%) e aymara (25%), seguite da numerosissimi gruppi etnici minori diffusi in tutto il vasto territorio boliviano (altopiano, amazzonia, valle, e Chaco); la diffusione di queste culture è evidente e pervasiva di ogni aspetto sociale e culturale della società boliviana, fortemente caratterizzata da tradizioni, usanze e credenze tipiche delle sue culture originarie. 

Nonostante non vi siano dubbi circa i cambi introdotti dalle politiche del Movimiento al Socialismo (MAS), partito dell’attuale presidente in carica Evo Morales, in molti considerano “la guerra del gas” del 2003 come punto di svolta della situazione politica e socioculturale della Bolivia. Questo conflitto, che causò decine di morti e feriti, fu determinato dalla decisione del Governo di Gonzalo Sánchez de Lozada di esportare gas naturali, arricchendo compagnie internazionali e lasciando i boliviani stessi a mani vuote. Gli scontri, capitanati dalla città di El Alto, con la richiesta di nazionalizzazione delle risorse naturali, permisero lo svilupparsi di una identità politica propria di quella parte della società che sempre era rimasta esclusa ed emarginata, gli indigeni. 

L’architetto Freddy Mamani rappresenta bene questa appropriazione e celebrazione dell’identità indigena attraverso i suoi edifici, tipici della citta di El Alto, i cholet. Attraverso l’utilizzo di colori, forme geometriche e elementi folclorici, Mamani recupera la tradizione architettonica tiwanaquense (Tiwanaku fu il primo grande impero andino, i cui resti sono attualmente visitabili nell’area del lago Titicaca a sud-est della città di La Paz) e la adatta ai tempi e alla funzionalità moderne, con l’obiettivo di affermare l’unicità della cultura boliviana.

Quiero que mi estilo le diga al mundo que Bolivia tiene su propia identidad” Freddy Mamani

Un altro esempio, sempre originario della città di El Alto, di come i movimenti “dal basso” si siano fatti promotori della rivendicazione culturale, è la compagnia teatrale Teatro Trono. Nata alla fine degli anni ’80 grazie al genio creativo del suo “capitano”, Ivan Nogales, e ad un gruppo di ragazzi di strada, si propone di creare una cultura teatrale che sia esclusivamente boliviana e non derivata dalla tradizione teatrale europea. Attraverso le loro rappresentazioni di personaggi fittizi, ma che paiono reali, alcuni giovani alteños poterono parlare alla Bolivia e al mondo (i loro spettacoli hanno fatto il giro del Sud America e sono giunti fino in Europa, in Germania e Danimarca, accumulando più di 300.000km di viaggi) di ciò che più li interessava: ingiustizie, discriminazione, tradizioni e in generale della loro vita in questa grande città-periferia boliviana.

In rappresentanza delle sue innumerevoli tradizioni culturali uniche ed originarie, in Bolivia vengono celebrati circa 145 carnevali distribuiti tra i suoi nove dipartimenti. Durante queste feste popolari, migliaia di persone sfilano in abiti tradizionali al ritmo di musiche e balli tipici. Secondo la ministra di Cultura e Turismo, Wilma Alanoca, ogni evento rappresenta in breve le varie sfumature patrimoniali e culturali da proteggere: il Carnaval de Oruro, durante il quale circa 30.000 ballerini e 10.000 musicisti sfilano nelle vie della città in onore della Vergine del Socavon, rappresenta la maggiore dimostrazione culturale in Bolivia, tradizione che fu dichiarata “Opera Maestra del Patrimonio Orale e Intangibile dell’Umanità” dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) nel 2001. 

Gli anni di governo di Evo Morales hanno determinato un’epoca di crescita economica e democratica per il paese, che ha visto giungere nelle aule parlamentari i rappresentanti delle numerose comunità originarie della Bolivia e allo stesso tempo ha raggiunto livelli costanti di crescita economica tra il 4 e il 6%, uno dei più alti della regione latinoamericana. Secondo l’attuale ministro dell’Economia e delle Finanze Pubbliche, Mario Guillén, questa crescita è dovuta principalmente alla nazionalizzazione delle risorse naturali del paese che ha permesso allo Stato di investire nella costruzione di una economia di base produttiva e di ridistribuire il surplus dato dalla crescita economica attraverso bonus alla popolazione, investimenti pubblici, aumenti salariali e sovvenzioni volte ad eradicare la povertà e ridurre il divario tra ricchi e poveri.

Anche se il sostegno del Governo all’identità e ai diritti degli indigeni è innegabile, gli interessi propri dello sviluppo economico, necessari all’affermazione della Bolivia a livello internazionale e alla riduzione della povertà nella regione, si sono spesso scontrati con la volontà delle popolazioni originarie di mantenere il dominio e i diritti sui loro territori. Nel 2011, una serie di proteste di vari gruppi indigeni, hanno costretto il presidente Morales a cancellare il progetto di costruzione di una strada che avrebbe unito la zona dell’amazzonia brasiliana con i porti dell’Oceano Pacifico in Peru e Cile attraversando la riserva forestale amazzonica conosciuta come il Territorio Isiboro e il Parque Nacional Isidoro Secure (Tipnis). Secondo gli indigeni la strada avrebbe distrutto le loro case e i loro territori, mostrando la tensione tra lo sfruttamento delle risorse naturali, e la conseguente spinta allo sviluppo economico, e i diretti della terra e di chi la abita.  

Per iniziativa di un gruppo di attivisti ed accademici a livello regionale, è stato creato un documento chiamato “Carta internacional de respaldo a la Marcha de Naciones Originarias y Pueblos Indigenas de Bolivia” che descrive una serie di preoccupazioni applicabili a vari conflitti socio-territoriali della regione sudamericana, rispetto alla violazione dei diritti collettivi dei popoli indigeni e all’accesso alla terra e ai territori delle popolazioni storicamente emarginate dalle legislazioni nazionali. In tutta la Bolivia si susseguono marce di rivendicazione organizzate da vari strati sociali, dalla marcia dei disabili del 2016 (al riguardo un documentario del the Guardian, “the fight” https://www.youtube.com/watch?time_continue=48&v=mWX-G2NJeSI), alla marcia de la Nación Qhara Qhara o a quella dei giovani Guaranì nel 2019, durante le quali varie organizzazioni della società civile affrontano giorni di cammino per far sentire la propria voce agli organi di governo, rivendicando rispetto dei territori ancestrali, l’esercizio della democrazia comunitaria e il diritto all’autonomia indigena, garantita dalla Costituzione del 2009. Infatti, il sostegno dello Stato verso l’indipendenza e la pluri-nazionalità della società boliviana si ridusse considerevolmente nel corso degli anni e i processi di titolazione collettiva delle terre in varie aree del paese, si trovano bloccati, discriminati o non rispettati, a fronte di un crescente appoggio alla proprietà individuale, alla divisione delle terre, apertura alle e bassi controlli delle imprese minerarie, di idrocarburi e ai progetti di sviluppo delle infrastrutture. Negli ultimi dieci anni si è assistito ad un progressivo indebolimento e frazionamento delle principali organizzazioni che formano il movimento campesino indigena boliviano.

Il 2019 è anche l’anno delle elezioni politiche in Bolivia, elezioni che vedono Evo Morales come candidato del MAS per la quarta volta consecutiva, candidatura che ha causato molte critiche da parte dell’opposizione e della società pubblica, dovute al fatto che un referendum costituzionale sostenuto in Bolivia il 21 febbraio 2016, aveva mostrato l’opposizione popolare ad una possibile estensione del mandato presidenziale per più di due anni consecutivi (il primo mandato Morales risale a prima della costituzione e ciò ha permesso la sua rielezione nel 2014 per un terzo mandato). La decisione di invalidare il referendum e candidarsi per il 2020-2025, ha compromesso l’immagine di Evo Morales presso gran parte della popolazione, portando ancora più incertezza nelle elezioni previste per la primavera (autunno in Italia) di questo anno, e nella lotta per i diritti degli indigeni e delle loro terre.

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