Siamo tutti “binadamu”


Sede di Ilunda

Ci sono certe cose che puoi provare a spiegare, ce ne sono altre che puoi tentare di raccontare, ma poi ci sono quelle cose che terrai solo per te.

Un anno in Africa è un’esperienza piuttosto sconvolgente, sia dal punto di vista umano che personale. Non voglio però fare il martire, dove viviamo noi la vita in qualche modo funziona e, grazie al cielo, non siamo abituati a situazioni di totale desolazione. L’esperienza però rimane sconvolgente, ma non solo per quello che vedi, ma soprattutto per quello che senti dentro di te. Cominci ad avere delle sensazioni mai provate in precedenza, che difficilmente puoi spiegare, a vedere degli aspetti della vita che puoi solo provare a raccontare, ma che devono essere vissute. E già sai che quando tornerai in Italia quelle sensazioni ti mancheranno, perché sentivi la vita dentro di te, la felicità. Credo che questo sarà il famoso “mal d’Africa”. Mi piace pensare però che questa esperienza, ormai verso la fine, sarà sempre con me, sarà un pensiero fisso ogni istante della mia giornata, perché una delle mie paure più grandi è il tempo, perché so bene che il tempo fa passare molte cose. Questa però non dovrà passare.

Come puoi dimenticare cose che ti toccato il cuore così in profondità? È qua che ho scoperto cosa significa fratellanza umana, perché anche se siamo così diversi siamo tutti “binadamu” (figli di Adamo, come si usa qua per indicare gli esseri umani), c’è un’appartenza primordiale a questo posto che ti porta con poca difficoltà a chiamare un ragazzo sconosciuto “kaka” (fratello) o una ragazza appena incontrata “dada” (sorella). Sono cose che mi fanno riflettere, mi interrogano sul senso di certi odi che esistono nel mondo. Una volta una volontaria come me mi ha detto una cosa che mi ha spiazzato: “Ci pensi che le persone di colore sono odiate solo per un fattore dovuto ad una forma di adattamento?”. Questa frase mi ha fatto capire ancora di più quanto l’uomo può essere perfido. A me, al contrario, questa esperienza mi ha donato una nuova speranza nei confronti dell’umanità.

Qui si percepisce la forza di affrontare la vita, quella reale. Io non so spiegarmi molte cose, come fanno ad esempio a caricarsi sulle spalle o sulla testa pesi abnormi. Non so come facciano molte donne, che spendono la loro intera esistenza a servizio di qualcun altro: i loro figli. Lavorano senza sosta, nei campi, a casa, al mercato, insomma ovunque, quasi sempre con un bambino sulle spalle, e purtroppo la loro condizione è di totale sottomissione all’uomo, che nel migliore dei casi provvede alla famiglia, nel peggiore invece maltratta donna e figli o, addirittura, abbandona il tetto. Una cosa troppo frequente in questo Paese. Io so solo che il detto africano “se le donne abbassassero le braccia, il cielo cadrebbe” recita parole sacrosante.

E poi ci sono i bambini. I bambini. Anche loro hanno una forza incredibile. Qui un bambino può essere sia un bambino che un piccolo adulto, perché spesso gli impongono di esserlo quando, a cinque anni, gli viene chiesto di badare al bambino di due. Quando, dopo aver fatto le attività da bambino con noi, lo vedi a casa a lavare i suoi vestiti a mano, proprio come fa un adulto. E le piccole cose che fa ti lasciano sbigottito, perché il ricordo dei bambini italiani e ancora limpido, e trovi impossibile non fare il paragone. Conosco bambini in Italia ricchi e viziati, che hanno molto, ma che a loro non basta mai e finiscono col chiedere sempre di più. Qua i bambini hanno davvero poco, ma quel poco che hanno lo sfruttano nel modo più fantasioso possibile. Ho visto creare giocattoli dal nulla.

Un altro aspetto che mi stupisce è la gratitudine che hanno per la vita. Vedi questi piccoli bambini che fanno una preghiera per un Dio che, se c’è, pensi si stia facendo in realtà i fatti suoi, ma questi sono comunque grati, e percepisci in loro l’amore per la vita. E tu, stupidamente, ti ritrovi quasi ad invidiare quest’amore che senti d’aver perso, ma che poi hai ritrovato dopo aver vissuto tutto questo.

Infine, vorrei parlare di un aspetto mio interiore, un qualcosa di completamente nuovo per me, che riassumerei nel concetto di “amplificazione”. Sono sempre stato un tipo razionale che cerca di non esternare o, addirittura, reprimere i propri sentimenti, per paura di esserne sopraffatto. Qui ho capito una cosa: avere dei sentimenti è l’unica cosa che ti differenzia da un cadavere. Nonostante io abbia vissuto e viva ancora delle situazioni di dolore, sento che questo mi fa sentire vivo. Ma l’aspetto più bello è avere la sensazione che tutto sia, appunto, “amplificato”: amore, affetto, rabbia, delusione, ecc. Io adesso vivo di queste sensazioni. Vivo. E non è stato uno psicologo a farmi capire questo, ma l’Africa, che fra i doni immensi che mi ha fatto questo anno mi ha regalato qualcosa di speciale: conoscere me stesso.

Un Mzungu