Il mio compleanno

di Laura Alessio, sede di Lago Agrio

Sono le 22:40 ed è il 7 Aprile, il mio compleanno.

E’ la terza volta che provo a buttare giù due righe per il diario nell’ultima settimana, i due tentativi precedenti non mi sembravano completi e stasera invece ho voglia di scrivere. Ho passato tutto il giorno cambiando gli autobus per tornare da Ibarra. Che noia -pensavo- un compleanno in autobus tutta sola, su e giù per le montagne. La giornata non prometteva poi così bene. Appena salita sull’ultima coincidenza a Quito succede che come al solito comincia a piovere, cielo grigio, mi chiama un’amica per gli auguri e comincio a piangere. Non so perché piangessi davvero, non ho saputo spiegarlo a lei e neanche a me stessa, non so se fossi emozionata, o triste, o felice. Però ero contenta di sentirla. E quindi piangevo e ridevo e mi sentivo allo stesso tempo lì tutta sola in mezzo al mondo ma coccolata dalla sua voce e dai suoi racconti dei preparativi del matrimonio imminente al quale mancherò.

Chiudo il telefono dopo un ora circa, pronta ad accogliere le ondate di solitudine.

E invece due persone si sono avvicendate nel posto accanto a me nelle ultime 7 ore. Due persone a cui ho lasciato il mio numero con gusto. Questo Ecuador mi sorprende ogni giorno. Ogni giorno mille piccole cose mi succedono e alla sera mi lasciano così, piena di confusione e incanto. Una confusione incantata.

Scriverò di loro per ricordarmene. Il primo era un uomo, un uomo sui 60 credo ma non potrei giurarci, di questi mestizos è sempre difficile decifrare le rughe. Aveva comunque un viso muy amable, non saprei come altro definirlo, ultimamente non mi salgono le parole in italiano: forse armonioso. Mi ha chiesto di dove fossi, tutti lo fanno sempre, anche solo se vado a comprare le sigarette: mi tradiscono questi miei capelli biondi. La curiosità della gente per il nido che ho in testa finisce sempre per aprire una nuova finestrella e due chiacchiere.

Così ha cominciato a raccontarmi di lui. Mille vite in un solo viso: un minatore che estrae oro prima.

Sono curiosa: – Dov’è l’oro, come si trova, come si estrae?

 –Cerca de Tulcan – mi dice – lungo un rio che passa vicino alla Panamericana. Lì puoi trovare l’oro nel fiume o in piccole pagliuzze nella roccia. Devi scavare mi dice, lavorare la roccia e creare gallerie profonde e da lì si estrae.

– E’ un lavoro durissimo no? – Chiedo;

– Si – mi risponde – di recente qualcuno da qualche parte in Ecuador ha creato una galleria così lunga che è crollata e sono morte diverse persone, mi racconta tra il dispiacere e l’orgoglio. Ora comunque non puoi fare più come ti pare, devi avere una società e rispettare diverse leggi, avere le carte a posto per poter estrarre l’oro, in Ecuador. Prima era più facile.

Mi racconta anche che parecchi anni fa aveva una terra che dovette vendere su due piedi ad un americano per pochi soldi per pagare un debito, e che qualche tempo dopo, scoprì, conteneva oro. L’americano la rivendette subito dopo ad un prezzo molto più alto

– Sicuramente già sapeva dell’oro.

 

Nella seconda vita era un ganadero, lo è ancora in realtà: ha una piccola terra in affitto dove lascia gli animali. -Proprio lì -mi dice mentre ci avviciniamo alla sua fermata: in mezzo alle montagne nel bosque nublado. E lui tutto sa fare, le cresce, costruisce le strutture per tenerle all’ombra quando c’è il sole forte e al riparo quando c’è la pioggia forte.

-Ma -continua- qui le vacche non crescono poi così bene, saranno il clima o i pascoli impervi nella giungla: negli altri paesi ci mettono sei mesi per diventare adulte le mucche, mentre qui due anni: molto tempo, ci si guadagna poco. Sapessi, qualche giorno fa abbiamo rischiato grosso cercando di far salire un toro sulla camioneta. Erano sette in tutto i tori, sei dei quali non avevano dato problemi, ma quell’uno no, non voleva proprio salire. Segue racconto delle 12 fatiche di Ercole e di tutti gli espedienti per far salire il toro sulla camioneta: c’è mancato poco che li ammazzasse.

Una volta, un mese fa circa ero con Oswaldo e ho assistito alla stessa identica scena: fermi 20 minuti in mezzo alla carretera col motore del pick up acceso, ad aspettare che uno splendido toro tutto nero salisse su quella maledetta camioneta e 4 piccoli omuncoli attorno a lui che cercavano di spostarlo. Armati di corde, fruste, bastoni che agitavano contro quello che sembrava una enorme roccia nera e imperturbabile, il toro. Una scena paradossale e a tratti anche ridicola che ho ancora in testa: gli omuncoli sudavano, urlavano, gravitavano intorno al toro e lui immobile. Però triste, il toro non era davvero imperturbabile: Oswaldo mi dice che il toro sa dove lo stanno portando, il toro è terrorizzato in realtà, si vede.

Questa sua terra, mi dice sempre indicando il blob verde immerso nelle nuvolette sospese e spelacchiate fuori dal finestrino, è molto bella, – A te piace la natura no? Si raggiunge a piedi salendo per quella costa ripida, bisogna stare attenti e ci vuole un oretta, poi subito dietro quella cordigliera … lì è. -Sguardo fiero.

-Mi piacerebbe che costruissero un sentiero. Non una strada, che altrimenti se ci si potesse accedere con una strada mi verrebbero sicuramente a rubare gli animali. Solo un sentiero, per esempio da percorrere a cavallo, sarebbe bien bonito ya.

In un’altra vita Bolivar, così si chiama il signore, alleva tilapie. O almeno vorrebbe: ha un’altra piccola terra, verso Lumbaqui qui a Sucumbíos, dove ha già attrezzato tutto: ha costruito le piscine, quei laghetti artificiali dove si allevano le tilapie, e tutto è pronto per accoglierle le tilapie. L’acqua è un acqua buonissima, mi dice, che viene dalle montagne attraverso dei tubi sotterranei ed è un acqua molto pulita. Solo insomma mancano le tilapie, manca solo la plata per comprarle;

-Usted non puo aiutarmi con un progettino per comprare le tilapie?  

-Magari -rispondo- mi piacerebbe molto ma non funziona così il lavoro che faccio, purtroppo.

-Comunque -conclude- ora è un buon momento per il mercato delle tilapie. C’è un signore di Quito che le compra tutte, quelle della zona, in stock e se le porta Quito per rivenderle…o chissà forse le vende anche altrove, fuori dal paese: ho qui nella maleta tutte le carte per andare domani alla banca -si illumina- per chiedere un prestito.

In un’altra vita ancora vive a Ibarra, però ha vissuto tanti anni lì, nel pueblito dove sta per scendere e dove tiene le vacche. Lì viveva con lui anche sua figlia, una ragazza molto brava a scuola, che non aveva mai perso un anno al colegio. Aveva 16 anni quando a un certo punto ha cominciato ad andare male a scuola. Lui ha scoperto alla fine di quell’anno che lei gli mentiva da diversi mesi, che mentre il papà la credeva in classe dopo averla accompagnata all’ingresso della scuola, lei se ne andava in giro con un ragazzo. -Si innamorò -mi racconta. Uno sguardo terribile negli occhi. Alla fine dell’anno era stata rimandata in sei materie scoprì, la causa: l’ inamorado. Sempre passava le giornate con lui e abbandonava la scuola.

Mi racconta di aver convinto la scuola a darle la possibilità di farle recuperare le materie: -Era sempre andata così bene!

Mi racconta di averle chiesto di portare l’inamorado a casa affinché lo conoscessero anche loro, i genitori, così per parlarci. Ma nunca lo portò a casa. Finché un giorno non tornò più a casa.

Sono passati due anni. L’hanno cercata ma niente.

-Forse Marisa è a Lago -mi dice, -penso che lavori lì da qualche parte e che l’inamorado no invece, non lavora: ancora manda qualche messaggio ad una sua amica a cui estrapolano informazioni i suoi genitori. Ma niente di più sanno.

La sua senora, mi dice, non fa altro che pensare a lei, che ricordarla, la loro unica figlia. E’ stato così male che alcuni mesi fa Bolivar si è ammalato, e ha scoperto di avere un tumore. Si è dovuto operare al fegato con un operazione complicata: lo hanno aperto e richiuso ed è stato molto debole per un po’. Non poteva salire a piedi alla montagna per raggiungere le vacche, e ora deve stare molto attento a quello che mangia, deve mangiare sano. Però dopo la convalescenza ha ripreso le forze.

-Quello che non ti uccide ti fortifica- lo incoraggio.

-Si, ora di nuovo posso salire piano alla montagna e mi sento in forze.

Poi mi parla di cibo. Siamo da tante ore in viaggio, la fame si fa sentire, e comincia a raccontarmi che loro mangiano molto e bene a casa sua, mi lascia il suo numero perché gli piacerebbe che andassi qualche volta a pranzo da lui: hanno carne, pesce … conigli addirittura mi sembra di capire. Mi sono sentita un po’sua figlia. Gli ho detto che ci andrò, e che se passa a Lago che mi venisse a trovare al FEPP, non sia mai che salta fuori un progettucolo anche con le tilapie.

Mi stringe la mano, raccoglie un sacchetto di mele e scende. Que tenga un lindo viaje.

 

Rimango sola al mio posto per 15 minuti, comincia a piovere forte e scende il buio.

L’autobus si ferma di nuovo, ma dopo 5 minuti ancora non riparte. Mi affaccio pigra per sbirciare e siamo in una fila di macchine ferme. Una signora pienotta e occhialuta, sulla cinquantina, è lì in piedi ad informarsi dall’autista.

Sabe que pasò? -le chiedo. Mi risponde che c’è un incidente poco più avanti e dobbiamo aspettare un po’. –Ah capisco -le sorrido. Lei anche e viene a sedersi accanto a me.

Sempre guardando i miei capelli: -Da dove vieni?

-Dall’Italia -ancora una volta.

La signora Debra, un nome straniero mi spiega con fare altolocato, sta viaggiando con suo marito come fa tutte le settimane.

-Vai a Lago? -mi chiede,- noi anche viviamo lì perché il mio esposo ci lavora -un cenno affermativo dal sedile avanti al nostro. Però tutte le settimane andiamo a Quito a trovare nostra figlia che studia lì, all’università. Una piccola genietta, si laurea in ingegneria -di qualcosa che non ho capito- e vive lì da sola. E’una ragazza molto seria, non esce mai la sera perché è pericolosa Quito e le sue amiche bevono birra anche prima di guidare; lei invece è molto giudiziosa. Tutte le volte che la vado a trovare le cucino tutte le cose buone che le piacciono: questa settimana due teglie di lasagna, ché possa conservarle e mangiarle per un po’.

-Uh, anche mia madre mi cucina sempre tutte le cose buone che mi piacciono, non vedo l’ora di rivederla -le dico- manca poco: torno a casa per pasqua.

Sorride complice e mi racconta di quanto le piaccia cucinare, e che è molto brava. Le chiedo come cucina la tilapia e passa quindici minuti a descrivermi la ricetta nel dettaglio, aggiungo che qui non ho il forno però, ma secondo lei non è necessario. Mi detta due ricette che non richiedono il forno.

Cominciamo a parlare di Lago, del clima difficile e del caldo e mi racconta che la sua casa è perfetta, che dispone di tutto ciò di cui una casa ha bisogno perché è solita ospitare ragazzi stranieri missionari per la chiesa, e le piace che loro trovino tutte le piccole comodità a cui sono abituati -il microonde, la lavatrice, l’aria condizionata- che hanno nelle loro case a Nuova York, a Washington. Che questi ragazzi e ragazze sempre restano in contatto con lei anche quando vanno via e la trattano come una mamma, e che lei anche li considera come figli acquisiti.

Le racconto della mia casa qui, del mio lavoro e che no, non c’è proprio tutto quello a cui sono abituata ma che va bene così, mi piace dovermi abituare a qualcosa di diverso da quello con cui vivo di solito. Sorride comprensiva e mi da ragione, ma comunque insiste per accompagnarmi a comprare almeno le zanzariere: -sono bien baratas!

Lei comunque sa bene come si vive in giro per il mondo: con suo marito viaggia molto, ha visitato metà degli Stati Uniti tra le altre cose, e ora sta programmando un estate in Canada perché vuole vedere le famose cascate del Niagara. Le è piaciuta molto Las Vegas e i suoi casinò, mi dice tra l’altro: vero non sono più giovanissimi lei e suo marito, ma non per questo non disfrutan la vida, approfittano del loro tempo tutte le volte che possono, vanno molto d’accordo tra loro.

Finisco per raccontarle del weekend appena trascorso a Ibarra con le amiche. Che per il mio compleanno mi hanno fatto una bellissima sorpresa, con tanto di torta al cioccolato … quanto mi mancava il cioccolato! Qui a Lago non ne trovo, così come posticini carini come quelli di Ibarra …che so, caffetterie. -Sbagliato! -mi dice. Prendi il mio numero, c’è un posto bien bonito a Lago dove si mangia un buonissimo postre ed è molto carino, addirittura musica live alle volte. Ci andiamo insieme!

-Fantastico -le dico- Se conosce bene Lago ho molto da chiederle, per esempio esistono estetisti? Perché ad Ibarra si, troppo carina, ma a Lago non trovo mai niente di quello che cerco quando mi serve! Giovedì scorso ho girato a vuoto per due ore in cerca di una ceretta.

Claro che c’è un estetista, fa tutto: unghie, viso, massaggi, cerette.. è una mia amica, dobbiamo andarci insieme! Chiamami quando ti serve!

La fame si fa sentire e ricominciamo a parlare di comida.

Mi racconta che ha tutte le spezie e le erbette che le servono per cucinare, che le trova a Quito perché col clima di Lago non crescono, e le secca per conservarle. Mi promette di aiutarmi a procurarmele, anche il compianto basilico (!). Segue elenco di ricette e lista di ristoranti deliziosi a Lago Agrio che devo assolutamente provare.

Il viaggio continua e passiamo a parlare dell’Ecuador. Le dico che torno ora da Otaválo e che ho fatto molte spese, comprato molti regalini per le amiche. Mi fa un elenco di tutte le mete meravigliose dove tengo que ir quest’anno. Siamo quasi arrivati e lei scende un attimo prima della stazione di Lago, mi saluta affettuosamente con un bacio, mi ricorda di chiamarla e scende.

Questo piccolo Ecuador mi confonde spesso, e mi conquista allo stesso tempo piano piano. Un giorno sono pronta per fare le valigie e fuggire, quello dopo sono pronta a trasferirmi in una finca e coltivare cacao. L’esperienza ecuadoriana ancora non rientra in niente che io possa classificare, che io possa inserire in una delle mie scatolette mentali. E’ fuori fuoco, sfuma in emozioni tutte colorate. I colori dei boschi, dei frutti maturi, della pelle affumicata delle persone e delle storie che raccolgo ogni giorno. Ogni giorno questo paese mi sazia di umanità, una fame che prima di arrivare non sapevo nemmeno di avere.

                                                                                                                                                                                                                           Laura Alessio, servizio civile Ecuador, sede di Lago Agrio, 2019