Escursione a Peguche
di Laura di Maggio
Un sabato di qualche settimana fa io e le mie coinquiline, nonché oramai compagne di vita, Giulia e Nice, abbiamo fatto un’escursione giornaliera presso la cascata di Peguche. La giornata era meravigliosa: soleggiata e non troppo calda. Scendendo alla fermata di Peguche, abbiamo inspiegabilmente intrapreso il percorso errato ritrovandoci a perderci tra le coltivazioni di mais. Una volta a Peguche abbiamo potuto osservare la bellezza della cascata e del bosco “protettore”. La cascata è situata nella comunità di “Faccha Llacta”, a nord-ovest della città di Otavalo. Si tratta di una cascata di 18 metri che si estende per circa quaranta ettari di foresta dichiarati come “foresta protettrice della cascata di Peguche”, a 2.400 metri di altezza.
Ha origine ai piedi del vulcano Imbabura, all’estremità settentrionale del lago San Pablo. È formato dalle acque del fiume Peguche, che cambia il suo nome in “Jatun Yacu” (ossia grande acqua) subito dopo la cascata.
Dopo una piacevole e, a tratti faticosa passeggiata, ci siamo deliziate con una delicatissima trota appena pescata nel fiume.
Di ritorno ad Ibarra, sul bus erano rimasti pochissimi posti e ci siamo dovute sedere in fondo. Io addirittura sono finita nell’ultimo posto in fondo a sinistra avvolta da odori alquanto spiacevoli.
Concentrata a non pensare alla puzza, ad un certo punto mi sento molto osservata. Un bambino che poteva avere tra i 7 e gli 8 anni mi osserva in maniera quasi ammiccante. Io lo guardo quasi con paura. Improvvisamente si butta su di lui un bambino ancora più piccolo, di 5-6 anni che inizia a chiedermi se gli do una moneta, poi continua chiedendomi cosa avessi in mano. Gli do una foglia di eucalipto che tenevo in mano ed il bambino estasiato inizia ad odorarla: “¡ahy, que ricooo el olor! ¿y eso qué es?”. Da lì inizia una conversazione lunga mezz’ora in cui entrambi i bimbi, Angel y Johnatan, si informano sul mio nome, da dove vengo e cosa facessi in Ecuador. Mi chiedono di descrivere loro la cascata di Peguche, cosa ci fosse da vedere lì. Loro non erano mai andati. “¿ Y Italia donde se encuentra? Gli disegno una cartina del mondo immaginaria provando a spiegargli con che paesi confinava l’Ecuador e che attraversando l’oceano si arrivava in Italia. “Iiiiih, 13 horas de vuelo de Ecuador a tu país?”. Si guardavano con gli occhi sgranati. Mi presento pure alla nonna seduta accanto a loro che avevo scambiato per la mamma. Oramai a loro agio mi chiedono la qualsiasi: “e che moneta c’è là? E il caffè com’è da voi?”. Non so come ma arriviamo a parlare anche dei venezuelani ed Angel menziona persino il presidente Maduro. Angel stravede per le lingue: mi chiede come si dica in inglese, italiano e francese qualsiasi cosa. Ha un’ottima pronuncia in inglese, mentre Johnatan fatica di più. Scopro che entrambi sono cugini. Vivono a Quito, ma vanno ad Ibarra alle 11 di notte per poter vendere caramelle e frutta. La nonna mi dice che il mercato “està a full” (è saturo) nella capitale e che per questo si dirigevano ad Ibarra. Quasi arrivate ad Ibarra, io e Nice decidiamo di dar loro qualche monetina. In realtà, avrei voluto far loro un regalino. Non volevo fargli capire che gli dessimo loro la moneta perché mi stavano simpatici o perché avevano parlato con me, ma mi sembrava troppo brutto non dare nulla. Li saluto un po’ contenta ed un po’ triste. A sola una settimana dall’episodio mi ritrovo nuovamente alla stazione di Ibarra, stavolta diretta ad Otavalo per andare alla laguna di Mojanda. Vado per salire sul primo autobus per Quito e mi sento chiamare: “¡Lauraaaaaaa! Holaaaaaa!” Erano Angel e Johnatan, sempre con la nonna, proprio davanti all’entrata del bus, pronti per salire e vendere qualche caramella o frutta sul bus. Ci baciamo e gli auguro buona fortuna. Sarebbe bello se anche loro potessero conoscere la bellezza della cascata di Peguche o le montagne sulla laguna di Mojanda. Chissá se visiteranno mai questi posti così vicini a loro, ma così lontani dalla loro realtà. Chissá se li rivedró ancora, Angel e Johnatan.