Io ci sono
di Gabriele Pitocchi, sede di Ilunda
Inizio con il presentarmi: sono Gabriele, ho 23 anni e provengo dalla provincia di Roma. Trascorrerò tutto il 2019 (e l’inizio del 2020) in Tanzania, dove sto effettuando il Servizio Civile. Precisamente sto prestando il mio servizio in un centro orfani che si trova nella regione di Njombe, e i miei compagni di viaggio sono altri 5 ragazzi, 3 femmine e 2 maschi.
Siamo giunti al centro a fine gennaio, e subito ci siamo trovati di fronte una realtà completamente nuova. A parte le differenze climatiche, ambientali, culinarie, ecc. che sono probabilmente le prime che saltano all’occhio, abbiamo cominciato a scontrarci con un differente punto di vista, una diversa concezione della vita. Abituato a vivere in Italia, dove la tua agenda può essere piena di appuntamenti per i futuri 10 anni o dove ti programmi anche quando andare in bagno, mi sono trovato di fronte la realtà della vita quotidiana, pensata e vissuta giorno per giorno, senza perdere troppo tempo a programmare il tempo. O anche la diversa concezione dell’attesa; siamo stati iniziati alla cultura del “pole pole”, “piano piano”, un motto di questa terra che ti insegna che ogni cosa non è immediata, e che non necessariamente il tempo è denaro.
Andando avanti con la nostra permanenza, che nelle prime settimane si è concentrata esclusivamente sullo studio della lingua (sebbene anglofona, ahimè, la Tanzania ha lo Swahili come lingua ufficiale), abbiamo iniziato, poi, a calarci nelle attività in programma nel centro. Queste, sostanzialmente, si rifanno quasi tutte al tema educativo, essendo ospiti del centro bambini che vanno dai 0 ai 14 anni. Ci stiamo quindi impegnando in attività come le ripetizioni, i laboratori, il sostegno scolastico, l’asilo, i momenti ludici a scopo formativo… insomma cose che si spera possano essere utili per i ragazzi!
Col passare del tempo e vivendo noi stessi all’interno del centro ci stiamo cominciando a sentire parte dello stesso. Abbiamo iniziato a tessere un legame con i ragazzi che sembra andare al di là di mero lavoro educativo. Sento che le nostre vite stanno iniziando a contaminarsi sempre di più, in uno scambio reciproco in cui tutti vincono, ma in cui noi ne usciamo più fortunati forse, perché la nostra età più matura ci permette di fare delle considerazioni che magari non servono ancora ai bambini. Ti rendi conto di quello che stai perdendo soltanto quando te lo trovi davanti. Noi proveniamo da un posto in cui non ci manca niente e dove forse abbiamo troppo. Qui manca tutto questo. I pochi giochi che trovi sono bottiglie di plastica e tappi di sode. Ma alla fantasia di un bambino di qui questo basta e avanza. Per loro è semplice. E forse è questo quello che stiamo perdendo noi, il significato di semplicità.
Il Servizio Civile è una gran cosa. Permette a me, ragazzo inesperto e senza una formazione specifica di vivere un qualcosa di straordinario e irripetibile. Grazie a questo mi sto tatuando nel cuore una sensazione indescrivibile che mi dà forza, coraggio, reazione e ottimismo. Il mondo è un po’ più grande del nostro quartiere, e posso dire che ne sto scoprendo pian piano un pezzettino. I momenti duri ci sono e ci saranno, non si può negare, ma sfumano di fronte alla felicità “semplice” di un bambino.