Le Case Piene
di Marianna Russo, sede di Mbeya
Oggi è stato il primo giorno in cui in modo libero e spontaneo il mio spazio l’ho trovato comunque, nonostante lo swahili e nonostante la “paura” di muovermi davanti agli altri. Forse devo dire grazie alle due Clara che con la loro allegria e i loro sorrisi mi hanno sciolto il cuore. Clara mkubwa e Clara mdogo, le chiamano così le operatrici per distinguere la grande dalla piccola, sono le due bambine che siamo andate a visitare oggi durante i majumbani, quelle che noi chiameremo visite domiciliari.
Qui le visite domiciliari sono molto diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati in Italia. Si parla tanto, con le mamme, con le nonne e con i ragazzi per sapere come si procede e si fa qualche esercizio.
La prima ragazza, Clara grande, ha 15 anni compiuti a Gennaio, non cammina sulle gambe ma riesce a muoversi agilmente sulle ginocchia. Lei non esce molto, solo la domenica per andare a messa. Ha 5 fratelli con cui ha un bellissimo rapporto e che si prendono cura di lei insieme alla mamma che è una vera forza della natura. Appena arriviamo ci accoglie calorosamente e dopo aver steso da sola la stuoia ci invita ad andare vicino a lei e da una lettera a Federica che con gli occhi lucidi la ringrazia. Clara ha una memoria formidabile e dopo aver imparato il mio nome, mi ripete tutti i nomi delle civiliste passate negli anni. I nomi li ricorda tutti, ma mi dice che le sue preferite sono state quelle calme, che si prendevano il tempo per capirla e non andavano di fretta.
Ha tirato fuori i suoi quaderni e dei tappi con sopra delle lettere che usa per scrivere. Abbiamo letto e scritto un po’ di parole e in un attimo era già ora di andare via e così dopo averla salutata ci siamo dirette verso la casa di Clara piccola; anche lei voleva scrivere oggi e così abbiamo scritto e ripetuto un po’ di numeri.
Non posso immaginare cosa significhi vivere chiusa dentro una casa, prigioniera di un corpo che non ti permette di vedere cosa c’è oltre il cancello, ma posso almeno provare a immaginare quanto possa valere un volto nuovo e avere qualcuno che anche solo per un’ora a settimana ha occhi solo per te. Qualcuno che può almeno provare a fermarsi e a prendersi il tempo che serve per capirti e per aiutarti a imparare qualcosa in più. Il minimo che posso fare è cercare di esserci al 100% per quell’ora mettendo da parte barriere e paure.
Trovo assurdo che non abbiano le sedie a rotelle per spostarsi, ma giustamente Federica mi ricorda che non passerebbero nelle porte e poi ci sono quei gradini che sembrano minimi quando devi salirci con i piedi, ma quando sono quelle ruote a doverli superare sembrano montagne.
Oggi però tornando a casa non pensavo alle sedie che non c’erano o agli esercizi che non venivano fatti. Pensavo alle braccia di Clara grande che mi stringevano le gambe, alla sua bocca che con tutta la difficoltà del caso faceva uscire un saluto bellissimo per la sorella. Pensavo ai pantaloni strappati di Clara piccola all’altezza di quelle ginocchia che devono lavorare davvero tanto e al suo sorriso quando riusciva a scrivere un numero.
Sono tornata a casa piena, piena di quella forza di chi non ha niente, ma con quel poco che ha decide di farci veramente tanto.