Perché Met non è una persona cattiva

di Valerio Topazio, sede di Wanging'ombe

Incontri che ti cambiano

E hanno capito che Met non è una persona cattiva” così mi diceva Metuschélah rivolgendosi a sé stesso. Recatosi dal Congo tre anni fa per studiare, vive nell’appartamento di mio cugino a Roma. Parla un italiano perfetto ed è al secondo anno di economia. Inoltre per garantirsi un buon sostegno economico lavora in un centro commerciale di Roma Est, zona che raggiunge a piedi e con i mezzi di trasporto tutte le mattine.
Cenando insieme e assaggiando le sue pietanze congolesi  ho avuto modo di andare oltre la semplice chiacchierata e conoscenza con un immigrato. Un’esperienza che non mi era mai capitata fino ad ora.  Questo accadeva a gennaio durante la formazione a Roma in preparazione per la partenza in Tanzania. Se allora mi avessero chiesto la vera motivazione della mia partenza, oltre le parole gonfie e vuote che utilizzano tutti, sinceramente non avrei saputo rispondere.
Ma la sua conoscenza è stata la chiave del mio viaggio.
È stato grazie allo scambio di parole, di emozioni che ho afferrato il vero concetto di servizio civile svolto sul territorio estero.
Met mi parla delle continue discriminazioni che subisce per strada, dell’esclusione dai suoi compagni universitari, il non sentirsi accettato, l’avere quei pochi amici che si contano sulle dita di una mano, seppur si sia integrato perfettamente nella cultura occidentale.  Nonostante ciò, mi racconta, con gli occhi lucidi di felicità, il suo primo natale passato in compagnia con una famiglia italiana. È il suo amico di università ad averlo invitato a casa sapendo di trovarsi solo per le vacanze di natale. E durante questo racconto che Met, felice, fa presente la bontà del suo amico, fa presente il fatto di essersi sentito accettato. È in quel momento che pronuncia quelle parole che abbattono tutti i miei pregiudizi: “e hanno capito che Met non è una persona cattiva”. Sentirgli pronunciare quelle parole dure, cariche di rabbia e tristezza mi ha fatto sentire responsabile a nome di tutti gli italiani di ciò che abbiamo fatto e continuiamo a fare nei confronti degli stranieri, soprattutto quelli africani. Mi sono sentito in dovere di chiedere scusa a nome di tutti e spiegargli che continuiamo a sbagliare a causa dell’ignoranza, della paura del diverso che è insita in noi e che solo attraverso l’educazione e la sensibilizzazione possiamo combatterla.
È stata la sua conoscenza, la chiave della mia partenza: la voglia di mettermi nei panni dell’altro,  di sentirmi piccolo e allo stesso tempo cittadino del mondo senza limiti e confini.
Ho capito che bisogna viaggiare, per comprendere a pieno i disagi, le discriminazioni, la difficoltà nel comunicare e farsi capire, la paura di sbagliare e di fare in un territorio straniero, di integrarti con una cultura che non ti appartiene; bisogna passare dall’altro lato per comprendere cosa prova un immigrato qui in Europa.
Invece senza questi presupposti la maggior parte di noi parte con l’idea insita che siamo bianchi, e quindi con la presunzione di sentirsi accettati, qualunque cosa si faccia. Il bianco è turista, è ricco, è buono.
Come se la pelle bianca fosse un passaporto.
Questo egocentrismo europeo, me lo ripeto spesso.
Ci si abitua subito al karibu (benvenuto) tanzaniano verso gli ospiti, e ben presto ti senti uno di loro, accattato, integrato, dimentichi di avere la pelle bianca.  E non c’è cosa più bella in territorio straniero di sentirsi dire “benvenuto”: una parola, una sola, che ti fa vivere meglio, che ti fa capire che ciò che sei e ciò che stai facendo non è sbagliato.  
Poi appena sali sul dala-dala (bus) o ti ritrovi nella folla del mercato di Makambako a fare spesa, e tutti ti guardano con sguardi sospetti o con curiosità, ricordi di avere la pelle bianca e provi la stessa sensazione e disagio che prova Met ogni volta che cammina per le vie di Roma.
Insomma sono incontri che ti cambiano: Met è una di quelle persone che incontri poche volte nella vita, durante il tuo cammino;  quelle persone che in una sola serata, con una sola conversazione ti fanno cambiare prospettiva di vita, rispondono a quella domanda che da tempo ti ponevi.
Se mi dovessero chiedere perché sei andato in Africa, risponderò “perché Met non è una persona cattiva”.

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